Ruolo del cadmio nelle patologie correlate all’uso di tabacco
Abstract
Il fumo di tabacco esercita la propria azione nociva sull’organismo attraverso migliaia di sostanze ed elementi. Tra essi, i metalli sono significativamente presenti e per alcuni gli effetti proinfiammatorio e cancerogeno, diretto e indiretto, sono ben noti. Il cadmio è un fondamentale agente tossico presente nel tabacco che, a causa dell’alterazione della clearance muco-ciliare tipica del fumatore cronico, nonché della sua lunga emivita, può esercitare per molto tempo la sua azione, giocando un ruolo importante nella patogenesi di molte patologie fumo-correlate. L’identificazione di questo agente dovrebbe indurre l’industria dei prodotti del tabacco a investire seriamente per l’applicazione di strategie di de-cadmiazione che possano ridurne (o azzerarne) la presenza nella pianta di tabacco, o durante la lavorazione della foglia. D’altro canto è stato dimostrato che nei fumatori cronici, un adeguato apporto di zinco e/o l’utilizzo di farmaci che riattivano la clearance mucociliare possono ridurre l’incidenza e/o la gravità di diverse patologie fumo-correlate anche perché contrastano la presenza e l’attività del cadmio nell’organismo.
Introduzione
Il tabagismo rimane ancora oggi una delle dipendenze più diffuse nel mondo e, nonostante le campagne di sensibilizzazione e informazione sulla sua pericolosità socio-sanitaria promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e da numerosi Governi siano attive ormai da parecchi anni, la sua eradicazione completa appare ancora molto lontana. Questo perché, a fronte di un comprovato decremento del fenomeno in parecchi Paesi europei, il consumo di sigarette è invece globalmente in aumento, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito, ove l’industria del tabacco sta abilmente incrementando il proprio bacino di utenza. Considerato che la vera e unica strategia di prevenzione di tutte le note patologie fumo-correlate è uno stile di vita smoke-free, poiché neanche gli strumenti “alternativi” appaiono significativamente innocui ed efficaci, è necessario nel frattempo studiare gli effetti nocivi delle singole componenti del tabacco per provare a intervenire su di esse, ove possibile, al fine di ridurne la pericolosità e la tossicità. Tra i numerosi agenti tossici cui sono esposti i tabagisti attivi e passivi e i consumatori di tabacco non combusto, vi sono 73 metalli tossici, tra cui: bario, arsenico, cromo, cobalto, piombo, berillio e cadmio. L’epitelio della mucosa orale e polmonare non è in grado di ostacolare il loro assorbimento; piccole particelle e sostanze tossiche solubili possono essere assorbite e passare alla circolazione sistemica, cosicché parecchi tessuti possono risentire dei loro effetti nocivi e sviluppare trasformazioni in senso patologico. Anche nel fumo prodotto dalla e-cig di diversi brand sono stati individuati cinque metalli tossici [1]. Tra essi, il cadmio (Cd) è ritenuto corresponsabile di una serie di patologie infiammatorie, degenerative e oncologiche.
Accendiamo i riflettori su questo metallo pesante tossico presente in grosse quantità nel fumo di tabacco, di cui rappresenta l’agente corresponsabile nella patogenesi di una serie di patologie fumo-correlate.
Principali caratteristiche del cadmio
Numerosi sono i metalli presenti nel tabacco. Tra questi il polonio210, prodotto di decadimento del radon222 e del piombo210, è ritrovato nel BAL di fumatori cronici con Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva (BPCO) a causa dell’intrappolamento del piombo sull’epitelio bronchiale dovuto all’inefficienza della clearance mucociliare. Tale condizione permette il rilascio prolungato (per molti anni) di radiazioni alfa che hanno un notorio effetto cancerogeno e proinfiammatorio [2]. Il Cd, così come l’arsenico, il mercurio e il cromo, è un metallo pesante che non svolge funzioni fisiologiche (tranne che in una microalga diatomea unicellulare, che vive in un ambiente povero di zinco, ove è il catalizzatore di un’anidrasi carbonica) ed è considerato solo un agente tossico.
Il Cd ha numero atomico 48, peso atomico 112,411 e appartiene al gruppo XII della tavola periodica degli elementi. Questo metallo soffice e biancoargenteo è chimicamente simile allo zinco e al mercurio e ne condivide le proprietà fisico-chimiche. Il suo peso atomico è il risultato di una miscela di 8 isotopi stabili. Fonde a 321 °C, bolle a 765 °C e ha densità relativa 8,64.
L’attività vulcanica e i numerosi incendi di foreste a livello planetario possono contribuire all’aumento del Cd nel suolo e nell’acqua. Alte concentrazioni possono reperirsi anche nel riso, in crostacei, mitili, cefalopodi e frattaglie di bovini come fegato e reni; è presente, inoltre, nell’olio di semi, nelle noci di cocco e in alcuni funghi selvatici. Molti vegetali, tra cui le verdure, le patate e le carote possono esserne più ricche di altri alimenti. Dunque i vegetariani sono esposti a un più alto assorbimento di Cd rispetto agli onnivori. Nelle aree contigue a fabbriche o miniere, l’acqua dei fiumi o degli acquedotti può esserne contaminata in modo notevole. La maggiore fonte di esposizione non professionale e non ambientale a questo metallo è però rappresentata dal fumo di tabacco. Una sigaretta contiene circa 1-2 microgrammi di Cd, e la dose quotidiana assorbita da una persona che ne fuma 20 al giorno è di circa 3-4 microgrammi. L’assorbimento avviene principalmente attraverso l’apparato respiratorio, in modo minore a livello gastrointestinale e cutaneo. Il sangue lo diffonde attraverso gli eritrociti e l’albumina e tende ad accumularsi a livello di reni, fegato e intestino. L’eliminazione è lenta e avviene attraverso l’urina, la saliva e il latte materno.
Substrato dei fertilizzanti usati per coltivare tabacco
Molto importante è la sorgente da cui i fertilizzanti sono estratti e il modo in cui essi sono utilizzati per coltivare il tabacco. I fertilizzanti contenenti fosforo, se contaminati da impurità in eccesso come i metalli pesanti, potrebbero produrre effetti negativi sia ambientali che sanitari. Alcune fonti sono di seguito riportate:
- rocce di apatite ricche di carbonato. Le più diffuse sono le rocce di apatite ricche di carbonato, come la francolite, che si sono formate da millenni attraverso l’accumulo di sedimenti sui fondali oceanici;
- fosfati estratti da rocce ignee. Altra sorgente di estrazione è data dall’utilizzo di fosfati estratti da rocce ignee. Infatti, un deposito meno comune di fosfato è nei depositi ignei. Formate attraverso il raffreddamento della lava, le rocce ignee contengono solitamente fluorapatite. Tali concentrati di roccia sono solitamente venduti a un prezzo elevato per le rocce sedimentarie, poiché la loro composizione minerale (per esempio il suo contenuto di nutrienti è spesso del 5-10% superiore rispetto ad altri concentrati di roccia) riduce il costo della produzione di fertilizzanti;
- fosfati estratti da depositi biogenici. In passato, il fosfato era anche ampiamente estratto dai depositi biogenici di uccelli e pipistrelli. La produzione da tali fonti è diminuita drasticamente quando le riserve si sono esaurite [3].
La ricerca intrapresa dall’International Fertilizer Development Center (IFDC) ha valutato le concentrazioni di Cd e di altri oligoelementi attraverso diversi depositi di fosfati in tutto il mondo.
I metalli pesanti sono tra le impurità presenti nei concentrati di fosfato di roccia. Questi si trovano generalmente in quantità così piccole, relativamente ad altri elementi, da non influire sui costi di elaborazione. Tuttavia, alcuni elementi sono presenti in concentrazioni sufficientemente elevate (piombo, Cd, arsenico e altri metalli pesanti) per rappresentare un rischio a lungo termine per l’ambiente e probabilmente anche per la salute umana e animale.
Correlati patologici del cadmio
Meccanismi d’azione tossica del Cd
Il Cd può esercitare la sua azione tossica attraverso diversi meccanismi dimostrati e resi possibili dal suo accumulo nelle vie respiratorie (a causa della notevole riduzione della clearance mucociliare legata al fumo) e in altri organi come fegato e reni, che sono estremamente sensibili alla sua tossicità. Questo fatto è dovuto alla capacità delle loro cellule di autoproteggersi sintetizzando metallotioneine, proteine indotte dal Cd (che è il metallo più affine di tutti per esse) che legano saldamente gli ioni tossici. Ciò però determina un accumulo abnorme e lo stress ossidativo indotto da questo xenobiotico può essere uno dei meccanismi responsabili di diverse patologie epato-renali.
Esso causa rottura del DNA e perossidazione lipidica. Nelle cellule del tubulo prossimale è indotta l’apoptosi, la fibrosi interstiziale e l’infiammazione cronica. È noto che il danno mitocondriale è molto probabile, poiché tali organelli hanno un ruolo cruciale nella formazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) e sono il target intracellulare principale del Cd. Sottoposti all’azione tossica del metallo, essi producono meno energia e più ROS. Sono inoltre indotti vari cambiamenti epigenetici nelle cellule mammarie, in vivo e in vitro, con rischio di sviluppo di vari tipi di cancro. Le modifiche chimiche del DNA e degli istoni alterano la cromatina senza cambiamenti delle sequenze nucleotidiche. Esse riguardano enzimi che presiedono alla riparazione di quote di DNA normalmente danneggiate dai processi metabolici fisiologici, nonchè all’espressione genica, quali la DNA metiltrasferasi, l’istone acetiltrasferasi, deacetilasi e metiltrasferasi e i micro-RNA. Anche questo meccanismo favorisce l’apoptosi e, inoltre, predispone alla cancerogenesi alterando i meccanismi di differenziazione e proliferazione cellulare. Con particolare riferimento all’induzione del carcinoma mammario, il Cd rientra nella ristretta categoria dei cosidetti “metalloestrogeni”, cioè metalli in grado di attivare il recettore per gli estrogeni in assenza di estradiolo. Avrebbe quindi proprietà estrogeno-simili a causa delle quali agisce come “disturbatore endocrino”. Studi ove sono state impiegate linee cellulari MCF-7 e MCF-10A (queste ultime in particolare prive di recettori per gli estrogeni) hanno evidenziato come la loro esposizione a dosi non tossiche di cloruro di cadmio ne abbia determinato una trasformazione maligna, quindi in senso carcinogenetico. A livello terapeutico, inoltre, il Cd sembra rendere meno efficaci alcuni chemioterapici tra cui il 5-fluorouracile. I target principali del Cd sono i gruppi tiolici o sulfidrilici presenti nelle proteine. L’inattivazione di tali gruppi negli enzimi produce deficit di vario tipo nel nucleo cellulare, nel reticolo endoplasmico e nei mitocondri. Il Cd inibisce l’ATPasi, l’LDH, la SOD e la Gpx. In tal modo, esso contribuisce indirettamente alla sovrapproduzione di ROS, spiazzando un metallo endogeno implicato nella reazione di Fenton (come il ferro) e incrementando la quota di radicali liberi. In tal modo, si ha la perdita di integrità e di permeabilità della membrana mitocondriale e si innesca una serie di eventi che conduce all’apoptosi. La via intrinseca (o mitocondriale) di quest’ultima viene attivata da un danno al DNA che attiva la caspasi-9.
Gli effetti del Cd nel corpo umano spaziano dalle disfunzioni epato-renali, all’edema polmonare, dal danno testicolare all’osteomalacia, ai danni alle ghiandole surrenali e all’emopoiesi. È stata anche osservata un’associazione con stroke, cardiopatia ischemica, arteriopatia periferica e aterosclerosi con dislipidemia. Può condurre ad apoptosi e necrosi, è un carcinogeno di classe I secondo la International Agency for Research on Cancer (IARC). L’accumulo di ioni calcio, l’incremento di produzione dei ROS, la sovraregolazione della caspasi-3, la sottoregolazione del gene bcl-2 e il deficit di p-53 conducono all’apoptosi. È implicato anche nella genesi dell’Alzheimer e del Parkinson. Interferisce con lo sviluppo del feto e con le sue capacità cognitive; basse dosi determinano l’espressione di molti geni embrionali, conducendo a una loro aberrante metilazione e a modifiche epigenetiche correlate a malformazioni del feto e gravidanze a rischio. A questo proposito, il Cd altera anche la steroidogenesi, inducendo disordini del ciclo mestruale e della fertilità, ritardo nel menarca, aborti. Le donne fumatrici in età postmenopausale hanno livelli urinari ed ematici di Cd più alti dei fumatori maschi e presentano una densità ossea ridotta. Questo metallo esercita effetti negativi anche sulla fertilità maschile dei tabagisti, poiché altera la motilità e la vitalità degli spermatozoi. Pare che esso svolga tale azione legandosi a specifici siti di membrana, cosa che tra l’altro altera anche i meccanismi di fecondazione assistita, poiché la forte adesione del Cd allo spermatozoo, ne determina l’ingresso nel citoplasma dell’ovocita durante questo processo, alterando lo sviluppo embrionale. Non è quindi un caso se il tasso di aborti e una ridotta fertilità sono più presenti tra i genitori tabagisti o che vivono in aree ove la concentrazione di Cd è particolarmente alta [4]. Basse dosi di Cd sono correlate anche ad alterazioni nell’azione degli estrogeni, a malattie cardiovascolari e muscoloscheletriche. Queste ultime possono essere degenerative (osteoartrosi), in seguito all’attivazione di metalloproteinasi (MMP1, MMP3, MMP9, MMP13), all’iperespressione dei geni COL2A1 e ACAN, al decremento della presenza di glicosaminoglicani e proteoglicani in seguito ad una risposta infiammatoria mediata da IL-1beta, IL-6 e produzione di ROS; oppure autoimmuni, come l’artrite reumatoide. Interferisce con l’attività di enzimi antiossidanti come catalasi, Mn-superossidodismutasi, Cu/Zn-superossidodismutasi. La metallotioneina è una proteina che concentra zinco che può agire come scavenger dei radicali liberi. Le cellule che non la sintetizzano non sono protette dagli effetti tossici del Cd [5].
Apparato respiratorio
Il Cd è, secondo l’OMS, un elemento fortemente nocivo per la salute pubblica. Esso si accumula naturalmente nella pianta del tabacco (Nicotiana tabacum). È presente in concentrazioni molto elevate nella foglia di tabacco, che lo assorbe notevolmente in modo indipendente dal suo contenuto nel suolo. La contaminazione di quest’ultimo è legata all’uso dei fertilizzanti fosfatici elencati nel precedente paragrafo. Il contenuto per foglia è compreso tra 1 e 2 μg · g-1 di peso secco, quota che si traduce in 0,5-1 μg di cadmio per sigaretta [6]. L’ossido di cadmio, che si forma in seguito alla combustione del tabacco, si deposita localmente nel tessuto polmonare e successivamente, attraverso gli scambi alveolo-capillari [7], è diffuso nella quota del 20-50% in tutto l’organismo attraverso la circolazione sanguigna. Le concentrazioni di Cd nel sangue possono essere fino a quattro o cinque volte più elevate nei fumatori di tabacco, rispetto ai non fumatori. Tale differenza appare più spiccata tra i giovani rispetto agli adulti e anziani. Esso può determinare faringo-laringiti, riniti croniche e BPCO di grado anche elevato, soprattutto a componente enfisematosa. L’accumulo locale di cadmio nei polmoni sembra essere un fattore critico di predisposizione alle malattie polmonari tra i fumatori a lungo termine. Questo può essere particolarmente importante considerando che l’emivita biologica del cadmio nel corpo umano è > 25-30 anni, sostanziale periodo di tempo, suggerendo la possibilità di ritenzione significativa di cadmio nei polmoni di fumatori a lungo termine. È plausibile che la ritenzione di Cd nei polmoni possa comportare una compromissione della funzione immunitaria innata, contribuendo alla maggiore suscettibilità a infezioni che portano a infiammazione cronica, fibrosi ed enfisema. Questi eventi possono compromettere la capacità ventilatoria e l’ematosi, eventi cronici significativi nella BPCO grave dei fumatori. In termini di funzionalità respiratoria, l’eccesso di Cd nel sangue e nelle urine correla con ridotta FEV1, FVC e capacità ventilatoria (rapporto FEV1/FVC); il Cd è notevolmente più presente nel BAL dei fumatori rispetto a quello dei non fumatori. Inoltre, nel BAL dei fumatori vi è presenza significativamente maggiore dei marker proinfiammatori. Tra le componenti del fumo, il Cd attiva la gamma-secretasi e, attraverso essa, i fattori p38 MAPK e CREB, inducendo indirettamente l’espressione delle COX-2 (ciclossigenasi-2), enzima chiave nella produzione di prostaglandine proinfiammatorie e proapoptotiche (attraverso l’induzione della caspasi) [8]. La riduzione dell’efferocitosi, ovvero della capacità macrofagica di fagocitare le cellule apoptotiche, sembra in particolare legata alla iperproduzione di PGE-2. Il Cd contribuisce allo stress ossidativo catalizzando la formazione di specie reattive dell’O2 (ROS), incrementando la perossidazione lipidica e consumando le quote di glutatione e di gruppi sulfidrilici legati alle proteine. Esso stimola, inoltre, la produzione di citochine proinfiammatorie e induce danno endoteliale attraverso la riduzione di produzione dell’ossido nitrico. È stato dimostrato che la riduzione del fumo di tabacco correla inversamente con lo sviluppo di aterosclerosi. Vi sarebbe quindi un ruolo di tale fattore di rischio nel fumatore attivo e passivo, e l’agente mediatore sarebbe proprio il Cd, assieme a CO, CS2, nitrossidi, acido cianidrico, catrame e zinco [9].
Nei macrofagi alveolari il Cd provoca un’alterata funzione immunitaria, con ridotta produzione di TNF-α, IL-2 e interferone γ (linfociti Th1), e aumentata produzione di IL-4 (linfociti Th2). Inoltre, vi è un aumento di produzione e rilascio di IL-6, IL-10 e IL-8, citochine pro- e antinfiammatorie. Tale azione è stata attribuita all’inibizione del fattore di trascrizione nucleare NFκB. Quest’ultimo è un noto attivatore dei geni coinvolti nell’infiammazione e funzione immunitaria. L’esposizione al Cd provoca elevate concentrazioni di diverse citochine proinfiammatorie e loro recettori come alcune chemochine, IL-6 e il recettore ligando-1 per l’IL-1 nei fibroblasti umani. I macrofagi alveolari nei fumatori di sigarette possono accumulare quantità significative di Cd saturando le metallotioneine. Queste sono proteine a basso peso molecolare, ricche di cisteina, che legano metalli pesanti sia fisiologici che xenobiotici come Cd, zinco e rame. La saturazione delle metallotioneine può compromettere la capacità di assorbimento dei ROS dei tessuti negli organi dei mammiferi [5]. L’accumulo di Cd a livello polmonare provoca produzione dei ROS (specie reattive dell’O2) e conseguente stress ossidativo e alterata risposta immune locale, attraverso l’inibizione macrofagica, un incrementato rapporto glutatione ossidato/glutatione ridotto, un incremento delle catalasi e della superossidodismutasi, incremento della glutatione perossidasi e reduttasi, inibizione del pathway NFκB-correlato. Pertanto, uno squilibrio dell’ossidoriduzione, un’alterazione dell’omeostasi della matrice extracellulare e la compromissione della funzione dei macrofagi alveolari emergono come i meccanismi principali nelle malattie polmonari causate da esposizione al Cd del fumo di sigaretta.
Un importante meccanismo che favorisce la permanenza e quindi l’azione tossica del Cd e di altre sostanze nocive fumo-correlate è l’alterazione della clearance mucociliare bronchiale e nasale, così come del riflesso della tosse. Tale effetto, correlato anche al fumo passivo, alle bidis, alla sigaretta elettronica e all’hookah [10,11], è stato studiato ed evidenziato sin dai primi anni Settanta [12,13]. La clearance tracheo-bronchiale nel non fumatore si attiva subito dopo l’inalazione della boccata di fumo, mentre nei fumatori essa è ritardata fino a 4 ore dopo, per restare attiva fino a 5-6 ore. C’è quindi un significativo rallentamento della prima fase di clearance in trachea e bronchi di grosso calibro, e una velocizzazione della seconda fase. È questo un vero e proprio sistema di difesa che gestisce circa 12.000 litri di aria filtrati ogni giorno dai polmoni. Il sistema è costituito dal muco di superficie, dal sottostante fluido periciliare e dall’epitelio naso-tracheo-bronchiale costituito da cellule ciliate e mucipare. Le ciglia sono organelli capilliformi che sporgono dalla superficie di quasi tutte le cellule umane. Nove coppie di microtubuli costituiscono il cuore di ogni ciglio, chiamato assonema. Le ciglia possono essere mobili o immobili. Questi ultimi sono coinvolti nella percezione chimica o meccanica e giocano un ruolo cruciale nella divisione cellulare, nella polarità cellulare e nell’apoptosi [14]. La disregolazione di questo sistema (alterazione dei canali ionici cellulari, infezioni, anomale risposte immuni) può condurre alla metaplasia di tali cellule, all’ostruzione delle vie aeree ed all’accumulo di elementi tossici [15]. La BPCO associata al tabacco (condizione che, tra l’altro, sembra predisporre allo sviluppo di carcinoma polmonare) è caratterizzata anche da un accorciamento delle ciglia dell’epitelio bronchiale oltre che da una ridotta clearance. Tale fenomeno è legato a un meccanismo autofagico delle cellule ciliate che regola la lunghezza ciliare in risposta al fumo di tabacco. Tale azione è mediata da un enzima, l’HDAC6 (istone deacetilasi -6) [16]. Altro elemento riscontrato nello sputo di soggetti con BPCO e ipersecrezione mucosa cronica è la presenza della demetilazione di 11 geni, normalmente silenziati, che sono correlati all’insorgenza di cancro del polmone, anche per la presenza di metalli tossici nello sputo di fumatori [17]. Vi sono diversi farmaci che, presi per i più vari motivi, possono impattare in vario modo sulla clearance. Alcuni anticolinergici, l’aspirina, gli anestetici e le benzodiazepine possono ridurla, mentre gli agenti colinergici, le metilxantine, il cromoglicato sodico, le soluzioni saline ipertoniche, l’amiloride, alcuni anticolinergici, l’ambroxolo, la NAC e alcuni glucocorticoidi possono incrementarla [18]. Sturm [19] ha calcolato come nei non fumatori il 93% delle particelle inalate depositate sulla superficie di bronchi sani è completamente rimosso entro i primi 10 giorni dall’esposizione, mentre nei forti fumatori il trasporto mucociliare rimuove, nello stesso periodo, appena il 36% di esse, provocando un accumulo a livello vascolare e linfatico dei polmoni malati. La permanenza di elementi tossici e la cronicizzazione di fenomeni infiammatori e di squilibrio redox può spiegare la correlazione dimostrata tra BPCO (soprattutto enfisematosa) e cancro del polmone.
Altre problematiche cadmio-correlate
Il Cd si accumula anche nei reni, principalmente nella corticale di questi organi, dove l’iperproduzione reattiva di metallotioneine lo chela e lo immobilizza, permettendogli quindi di esplicare il proprio effetto nocivo. Quest’ultimo si sostanzia in una disfunzione tubulare con proteinuria a basso peso molecolare ed esita in un’insufficienza renale grave. Nel fegato, il Cd ambientale non causa ipertransaminasemia o ipoalbuminemia, ma determina un peggioramento delle funzioni mitocondriali, correlato all’incremento del glutatione e della diminuita azione della glutatione-perossidasi nonché a una incrementata permeabilità della membrana interna. Inoltre, esso si accumula all’interno dei lisosomi, distruggendo l’integrità della loro membrana. Il rilascio di proteasi e fosfolipasi determina una epatocitotossicità. Il sistema di trasporto sodio-glucosio nelle cellule renali è inibito. La presenza del metallo nell’organismo è correlata anche a osteomalacia e osteoporosi con severo dolore osseo, alto tasso di fratture, tosse e insufficienza renale progressiva fino alla morte (Malattia di Itai-Itai), a causa dell’azione sul metabolismo della vitamina D e della dissoluzione del fosfato di calcio. Istologicamente si assiste a una dilatazione dei canali di Havers, a un’espansione dell’area pericellulare e a un’iperplasia del midollo osseo nella corticale metafisaria. Inoltre, esso è un induttore del tumore alla mammella, alla prostata, al colon, al retto, al rene e al polmone. Il Cd da solo o con i suoi composti, può causare anche il sarcoma e, poiché è presente nei cosmetici più diffusi (eyeliner, rossetto, mascara) può correlare con sviluppo di tumori della pelle. È un corresponsabile della riduzione del peso alla nascita e, anche se la placenta protegge il feto dall’assorbimento, il livello nel neonato sale rapidamente attraverso il latte materno. Il Cd si accumula anche nel cuore, seppure a livelli più bassi rispetto a fegato e rene, causando disordini metabolici e strutturali dell’organo ed entrando nella patogenesi dell’ipertensione. Diversi meccanismi sono alla base dello sviluppo di aterosclerosi. Correlati sono stati dimostrati per patologie oculari, quali cataratta e retinopatie. Infine, è implicato nella progressione di disordini cerebrovascolari e neurologici a causa del danneggiamento della barriera emato-encefalica e l’innesco di fenomeni infiammatori. Questo fenomeno è stato evidenziato in particolare negli astrociti gliali che, fisiologicamente, hanno un ruolo neuroprotettivo. La loro disfunzione e i fenomeni di apoptosi (mediati da citochine pro-infiammatorie e dal pathway delle COX-2) che le colpiscono dopo l’esposizione a Cd, provocano danni cerebrali e inducono il progresso dello stroke.
Diversi studi hanno evidenziato la forte correlazione tra tabagismo e depressione. Non si tratta solo di una dipendenza compensatoria alla problematica psichiatrica, ma è molto probabile che siano elementi neurotossici presenti nel fumo di tabacco a provocarla in soggetti predisposti. In questo senso il Cd e il piombo, assorbiti con la combustione, si presentano con valori più alti nei fumatori depressi che non nei depressi non fumatori o nei fumatori non depressi, indicando un ruolo di innesco rivestito dall’esposizione cronica quotidiana ai due metalli. È stato dimostrato in modelli animali che l’esposizione al Cd determina ridotta produzione e rilascio di serotonina, dopamina e norepinefrina in tutte le regioni cerebrali. Inoltre, gli sono correlati comportamenti compulsivi, decremento delle attività motorie e incremento di sintomi ansiosi. Peggioramento delle funzioni cognitive e difficoltà di apprendimento sono state correlate a un incremento dell’attività acetilcolinesterasica e un decremento dell’attività della sodio-potassio ATPasi provocate dal cadmio [20].
Infine, il cadmio appare il mediatore del fumo di tabacco, attraverso i meccanismi sopra descritti, nell’insorgenza del k rene [21], dell’osteoporosi [22], delle cardiovasculopatie [23], di peggioramento dell’olfatto [24] e delle arteriopatie periferiche [9].
L’importanza del rapporto cadmio/zinco nelle malattie tabacco-correlate
È stato dimostrato che lo zinco contrasta le azioni tossiche del Cd e, viceversa, quest’ultimo contrasta l’azione protettiva dello zinco.
In quest’ultimo caso, il meccanismo coinvolgerebbe lo spiazzamento dello zinco da parecchi enzimi preposti alla riparazione fisiologica del DNA e l’induzione di un’infiammazione cronica e di un dismetabolismo mitocondriale a causa della produzione di ROS da parte di leucociti e fagociti. Ridotte concentrazioni di zinco sono associate a peggioramento funzionale del sistema immunitario e possibile ruolo nella carcinogenesi. Un rapporto inverso è stato riportato nei fumatori tra il Cd e lo zinco sierici. Il contenuto di Cd nelle sigarette varia a seconda delle aree in cui sono prodotte e vendute, con un range che varia tra 0,29 e 3,38 microgrammi/grammo di tabacco, che può raggiungere i 5,4 in Cina. Il valore aumenta di parecchio nelle sigarette di contrabbando. L’emivita del Cd è compresa tra 14 e 23 anni. Il rapporto cadmio/zinco è un’espressione dell’esposizione al tabacco ed è fortemente incrementato nei tabagisti. Il danno tubulare renale si verifica quando i livelli totali di Cd nella corticale raggiungono i 50-300 microgrammi/grammo di peso umido o quando il Cd è legato alla metallotioneina nelle cellule tubulari renali in quota superiore a 200 microgrammi/g. La somministrazione di zinco può ridurre gli effetti avversi del Cd. In uno studio su pazienti cardiopatici fumatori rispetto ai soggetti sani il Cd plasmatico eccedeva del 40% lo zinco. Il rapporto cadmio-zinco è un utile fattore predittivo per coronaropatie che possono esitare in IMA nei soggetti fumatori. Nel caso delle malattie polmonari, nel lavaggio bronco-alveolare di fumatori sono riscontrabili alti livelli di cadmio e di m-RNA per il TNF-α nonché di citochine proinfiammatorie quali IL-6 e IL-8 e matrice metallopeptidasi-9 (proteasi con funzioni riparative del DNA). Inoltre, nel sangue di tali soggetti sono più presenti i linfociti CD8 (proinfiammatori). Nella BPCO avanzata sono reperibili livelli più alti di IL-6 e TNF-α. Nel tessuto polmonare di tabagisti con BPCO GOLD 4 sono reperibili alti livelli di Cd e manganese rispetto ai tabagisti asintomatici o con sintomatologia subclinica. In caso di prolungata esposizione al Cd, le cellule dell’epitelio polmonare andrebbero incontro a diminuita apoptosi e ad aumentata produzione di fattori angiogenici e MIP 3-α (proteina proinfiammatoria) contestualmente a un ridotto livello cellulare di zinco. Tale fenomeno potrebbe preludere a una trasformazione cellulare in senso neoplastico. Anche il carcinoma della prostata nei fumatori di tabacco sembra correlato ad alto rapporto plasmatico cadmio/zinco rispetto a coloro che non sviluppano tale malattia. Inoltre, il carcinoma della cervice uterina in fase avanzata (malattia fortemente correlata al fumo di tabacco) è correlato anch’esso a un elevato rapporto cadmio/zinco, che tende a invertirsi dopo radioterapia. Analogo andamento plasmatico si registra nei fumatori con tumore del pancreas e con leucoplachia e altre displasie/neoplasie del cavo orale. Ridotti livelli di zinco nei fumatori (che in genere mangiano meno frutta e vegetali) possono giocare un ruolo nell’incremento del rischio di malattia a causa della mancanza del ruolo di antagonista del Cd e, più in generale, vi è uno sbilanciamento omeostatico. L’incremento del rapporto ematico e urinario cadmio/zinco è spesso associato a stati patologici e, nei fumatori, assurge a fattore predittivo per varie condizioni patologiche che possono, quindi, essere individuate e curate in fase iniziale.
Oltre che indurre uno stress ossidativo mutageno, con induzione dell’attività della NADPH ossidasi e inibizione di altri enzimi antiossidanti, il Cd può promuovere l’oncogenesi mediante inibizione dei meccanismi di riparazione di mismatch del DNA e inducendo mutazioni epigenetiche. Questi effetti sembrano mediati dalla capacità del Cd di mimare la struttura dello zinco, un componente essenziale delle proteine nucleari zinc finger che regolano l’espressione genica e la riparazione del DNA. Sostituendo lo zinco in queste proteine, il Cd può causare alterazioni nella loro struttura che impattano sulla loro funzione. Tali effetti del Cd sono infatti prevenuti dalla somministrazione di zinco, suggerendo che l’uno contrasta l’altro. L’azione del Cd è associata a una incapacità delle cellule con danno al DNA di fermare il proprio ciclo prima della fase S e andare incontro ad apoptosi; quindi il Cd non solo incrementa il danno al DNA per mezzo degli effetti sulla sua riparazione, ma incrementa anche le possibilità che le cellule danneggiate possano sopravvivere e riprodursi. A causa della sua correlazione anche con le malattie cardiovascolari, il Cd, quindi la sua quota urinaria, è un marker che impatta sulla mortalità generale, secondo gli studi condotti dal National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) che evidenziano come anche basse dosi di Cd possono avere ruoli patogenetici nell’uomo [23, 25, 26].
Metodi di cura farmacologica
La NAC (N-acetilcisteina) sembra efficace nel ridurre l’induzione delle metallotioneine a livello epato-renale, riducendo di conseguenza l’accumulo del metallo in tali organi. Altri composti di origine vegetale possono prevenire gli effetti tossici derivati dall’esposizione ai metalli pesanti, compreso il Cd. Tra essi, la melatonina, i carotenoidi, il resveratrolo, le vitamine C ed E, la L-carnitina e il coenzima Q10. L’efficacia è legata alle loro azioni antiossidanti e chelanti. Bioelementi contenuti in integratori alimentari, come manganese, selenio, magnesio, calcio, ferro e soprattutto zinco (che, come prima riportato, rappresenta una sorta di contraltare chimico del Cd), decrementano l’assorbimento gastrointestinale di Cd e comunque partecipano alla produzione di enzimi che contrastano lo stress ossidativo indotto dal Cd o inducono la produzione di metallotioneine che sequestrano il Cd, riducendone quindi il potenziale tossico. Inoltre, è stato dimostrato che l’ipersecrezione mucosa è fortemente associata alla BPCO, alla riduzione del VEMS, a frequenti riacutizzazioni spesso esitate in ospedalizzazioni. Una metanalisi molto estesa ha evidenziato che l’uso di N-acetilcisteina e carbocisteina riducono le complicanze perché riattivano la clearance mucociliare che nei fumatori broncopatici cronici è “dormiente” e inefficace, favorendo la permanenza del Cd e di altri elementi tossici. La presenza a livello broncopolmonare di agenti tipici dell’infiammazione cronica, come DNA derivato dai neutrofili, filamenti di actina, batteri, cellule apoptotiche, può, nel complesso, indurre l’aumento di produzione di un muco più viscoso del normale. Un’azione espettorante e di decremento della produzione di muco può essere esercitata da farmaci espettoranti (guaifenesina, soluzione ipertonica), mucocinetici (broncodilatatori e ambroxolo), mucoregolatori (anticolinergici, carbocisteina) e mucolitici (NAC ed erdosteina), tutte categorie che migliorano la capacità di “pulizia” dell’epitelio bronchiale [27,28]. La clearance sembra rispondere positivamente anche all’esercizio aerobico nei fumatori [29].
Metodi di eliminazione del cadmio da fertilizzanti e piante
Considerato che il Cd viene assorbito in grande quantità dalla pianta del tabacco e che, di conseguenza, passa in quote altrettanto massicce nella foglia e nel prodotto della sua lavorazione [30], appare evidente come, per eliminare dalle sigarette un metallo estremamente tossico e corresponsabile di una serie di gravi patologie fumo-correlate, occorre agire a monte, ovvero processare il fertilizzante di origine fosforica o le foglie della pianta con metodi di rimozione compatibili a un costo sostenibile dall’industria del tabacco. Altra azione efficace sarebbe l’introduzione di una legge governativa che limiti il contenuto di Cd in ogni sigaretta al di sotto del cut-off attualmente in vigore. Quest’azione appare sicuramente più efficace dell’intervento “a valle”, cioè dell’impiego di integratori o farmaci tra quelli prima riportati, che riducono i danni da esposizione al cadmio. L’Italia è stata parte del progetto europeo AROMIS (Assessment and reduction of heavy metal input into agro-systems) [31] i cui obiettivi sono stati fondamentalmente l’identificazione del contributo delle attività agricole nell’arricchimento del suolo con metalli pesanti, il calcolo dei bilanci di tali metalli, la realizzazione di un database europeo sull’uso dei metalli pesanti in agricoltura e, infine, lo sviluppo di strategie per la riduzione degli apporti di metalli pesanti agli ecosistemi agrari, valutando le conseguenze ecologiche ed economiche. In attesa che il progetto possa dare i suoi frutti, le metodiche per effettuare la decadmizzazione della foglia di tabacco sono diverse, con costi variabili, e permettono quasi tutte l’eliminazione di una significativa quota del metallo.
Il girasole, la mostarda indica e l’eucalipto possono rimuovere il Cd dall’acqua e dal suolo contaminato. Tale metodo è efficace, a basso costo e rispettoso dell’ecosistema. Inoltre, nanoparticelle di ossido di titanio e ossido di alluminio possono essere efficaci in tal senso. Infine anche la fermentazione microbica usando il Lactobacillus plantarum è stata studiata come metodo promettente per rimuovere il Cd dal cibo, in particolare dal riso. Un altro metodo basato sull’estrazione acquosa del tabacco, la sua disidratazione, il trattamento con cloruri di calcio e di sodio e specifiche proteasi permette di ridurre nella pianta prima della lavorazione la nicotina, i fenoli, il CO e, tra gli altri elementi tossici, fino al 34% di Cd [32].
I diversi processi, messi a punto sin dalla metà degli anni Settanta possono rimuovere il Cd da fosfato di roccia o acido fosforico (finora non esistono processi in grado di rimuovere il Cd dal prodotto finale, il fertilizzante). La maggior parte delle tecnologie di decadmiazione prevede fino a $ 15 in più per tonnellata equivalente DAP (disponibilità a pagare, parametro economico risultante dalla somma di prezzo di mercato + surplus del consumatore). La rimozione del Cd rappresenta sicuramente un costo aggiuntivo, ma non insormontabile.
Solfato di calcio
CERPHOS è un processo che accumula la maggior parte del metallo nel solfato di calcio. Tuttavia, non esistono incentivi commerciali per giustificare l’investimento. Le spese operative indicate sono pari a US $ 6-9/tonnellata P2O5 (US $ 3-5/tonnellata equivalente DAP), con rimozione del Cd stimata fino all’87%.
Precipitazione dei solfuri
Il processo utilizza l’insolubilità del solfuro di Cd nell’acido fosforico e richiede l’uso di solfuro in eccesso. Rimuove altre impurità come arsenico, zinco e piombo. I costi operativi sono nell’intervallo di US $ 10-30/tonnellata P2O5 (US $ 5-15/tonnellata equivalente DAP).
Separazione a membrana
Questo metodo utilizza una membrana di separazione che consente il passaggio di determinati composti (per esempio, acido fosforico) trattenendo, tra gli altri, il Cd.
Scambio ionico
Si utilizzano perle di resina o letti fissi porosi in una colonna, che fissano il cadmio sulla resina. Le spese operative sono state stimate in US $ 15-25 tonnellata P2O5 (US $ 7-1/tonnellata equivalente DAP).
Elicad
Tale processo rimuove i metalli pesanti da un flusso continuo di acido fosforico mediante assorbimento selettivo. È tra i metodi con più basso impatto sui costi, con spese operative stimate intorno a 12-32/tonnellata P2O5 (US $ 5-15 tonnellata equivalente DAP). Il tasso di rimozione del Cd è stimato del 90%.
Estrazione con solvente
Viene effettuata una miscelazione di acido fosforico con un solvente immiscibile, assorbendo la maggior parte dell’acido fosforico. Funziona bene per decadmizzare alimenti e mangimi, con circa il 95% di rimozione. Le spese in conto capitale per tali strutture sono dell’ordine di $ 100 milioni.
Calcinazione della roccia fosfatica
Tale roccia, riscaldata fino a 800-1000 °C, espelle gran parte del Cd. Il processo viene talvolta utilizzato per eliminare il carbonato; la rimozione del Cd è un effetto collaterale. Costo di investimento stimato in US $: 50-100 milioni. La rimozione è dell’85%.
Conclusione
Paracelso affermò che “Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam exixtit. Dosis sola facit ut venenum non fit”. Sono le diverse quantità di Cd assunte nel tempo che possono innescare fenomeni morbosi. Se assunto normalmente con la dieta la sua dannosità è bassa, ma se in grandi quantità e quotidianamente nel lungo periodo (come nel caso del tabagismo) è concausa di diverse patologie croniche anche gravi, soprattutto di tipo oncologico e respiratorio. Dal momento che i meccanismi d’azione del Cd sono in buona parte stati dimostrati, appare mandatorio il tentativo di ridurne l’assorbimento attraverso beni di consumo indispensabile (cibi e bevande) e voluttuario (il tabacco). È auspicabile la progettazione di azioni a larga partecipazione (come il sopra citato AROMIS) che abbiano come principali obiettivi l’identificazione e la realizzazione di un database sull’impiego dei metalli pesanti in agricoltura e lo sviluppo di strategie per la riduzione della presenza di tali elementi negli ecosistemi agrari, valutando attentamente i vantaggi ecologici e sanitari nonché le conseguenze economiche di tale azione. Altre iniziative e investimenti nella direzione della decadmizzazione di prodotti al pubblico dovrebbero essere realizzati dalle industrie del tabacco per contribuire al raggiungimento di tali obiettivi. Infine, riconosciuti i rischi legati alla presenza di Cd nei prodotti del tabacco, sarebbero auspicabili adeguate politiche governative che impongano una riduzione significativa del valore soglia in essi presente.
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