Fattori endogeni ed esogeni favorenti l’avvio al fumo
Abstract
Il tabagismo rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per la salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nella popolazione mondiale vi sarebbero almeno un miliardo di tabagisti. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) indica che in Italia fuma il 24% della popolazione con età media di inizio a 17,6 anni. Il target di avvio al fumo è quindi, in larga prevalenza, quello giovanile. Sono molteplici le variabili che intervengono nella genesi del tabagismo, in questo articolo si analizzano quattro fattori, due esogeni e due endogeni, che possono incidere sul completamento del percorso di maturazione identitaria. I due fattori esogeni presi in considerazione sono:
- il modellamento; processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un soggetto cambia in funzione del comportamento di altri soggetti di riferimento.
- il marketing; visto come importante pressione che spinge soggetti con scarsa identità a trovare nelle molteplici proposte massmediatiche delle multinazionali modelli emulativi.
I due fattori endogeni analizzati sono:
- la disposizione novelty seeking; indica la propensione a comportamenti rischiosi che attivano emozioni forti. Negli adolescenti e nei giovani adulti c’è maggior disposizione ad azioni impulsive e oppositive scarsamente compensate dalla previsione delle possibili conseguenze.
- la vulnerabilità psichica; la prima età adulta è quella in cui si strutturano i disturbi psichici. Nel caso di sviluppo di una sofferenza psichica la nicotina può essere vissuta come un primo, scomposto, ma parzialmente efficace tentativo di autocura.
Il filo comune che sembra legare questi quattro fattori è lo sviluppo dell’Io. I fattori considerati, sia esogeni sia endogeni, trovano nella sigaretta uno strumento, fallace, che risponde a difficoltà nella costituzione di una solida identità. Lavorare psicologicamente per irrobustire l’Io della persona che fuma può essere una strategia di cura che permette al tabagista di abbandonare la sigaretta e tutto ciò che rappresenta per il suo mondo interno.
Introduzione
Il tabagismo è uno dei principali fattori di rischio per la salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che nella popolazione mondiale vi siano almeno un miliardo di tabagisti [1]. Pur se i Paesi occidentalizzati da tempo hanno avviato pratiche di contrasto al tabagismo, sono ancora molte le persone che si avviano al fumo di tabacco.
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) indicano che in Italia fuma il 24% della popolazione e, sempre in Italia, si stima che siano attribuibili annualmente al fumo di tabacco dalle 70.000 alle 83.000 morti [1]. Il tabagismo, pertanto, resta ai primi posti delle agende politico-sanitarie, sia per le sofferenze umane che procura sia per gli ingenti costi sanitari che provoca.
Se osserviamo i dati legati all’età di avvio al fumo vediamo come questi siano prevalentemente quelli giovanili. L’OMS stima che il 70% dei fumatori inizi a fumare prima dei 18 anni e il 94% prima dei 25 anni di età. In Italia, secondo l’ISS, l’età media di avvio al fumo è di 17,6 anni con una leggera differenza di genere: i maschi iniziano precocemente rispetto le femmine [1].
Il forte intreccio tra fumo e anni giovanili caratterizza un periodo della vita degli individui di per sé complesso, perché foriero non solo di grandi speranze ma anche di forti cambiamenti e feroci conflitti interni. Queste intense strattonature emotive possono esitare nell’avvio al fumo. La tematica è estremamente articolata e di difficile analisi complessiva, sono infatti moltissime le variabili intervenienti che possono risultare determinanti alla genesi di una dipendenza tabagica.
In questo lavoro si illustreranno quattro fattori, due esogeni e due endogeni, che possono concorrere, entro la complessità delle storie individuali, all’avvio al fumo di tabacco. Questi quattro fattori, benché abbiano punti di origine diversi paiono avere un comune denominatore: il deficit di identità che, fisiologicamente, caratterizza gli anni giovanili e della prima adultità. Proprio la mancanza di una salda cesura della pelle psichica, che differenzia l’individuo e ne definisce l’identità, può causare la dipendenza dalla sigaretta. Questa, in quel periodo critico, viene vissuta come un ausilio egoico, una protesi identitaria, per poi divenire, paradossalmente, una stampella emotiva che mantiene inalterati i tratti di immaturità che ne hanno causato la genesi.
Fattori esogeni
Il modeling delle relazioni prossimali
Il modellamento (modeling) identifica un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un soggetto che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro che diviene pertanto un modello. Tale processo, concettualizzato dalle teorie dell’apprendimento sociale [2], riveste particolare importanza nello sviluppo della personalità di un individuo. Durante l’infanzia e l’età della latenza, sono solitamente gli adulti di riferimento (genitori, insegnanti) a essere identificati dal bambino come modelli imitativi a cui riferirsi. Il contesto familiare e quello scolastico divengono così rilevanti scenari in cui l’individuo in crescita apprende stili di vita che, in seguito, potranno ripetersi in modo coattivo nell’età adulta. Sicuramente, adulti di riferimento tabagisti possono essere un primo, rilevante, fattore di modellamento per il bambino [2].
Per contro, quando la crescita giunge a una fase maturativa in cui affiorano le necessità di autonomia, l’adolescente inizia a opporsi agli adulti di riferimento a seguito della spinta ontogenetica all’individuazione [3]. Parte di questo processo, che rende così complicato il periodo di interregno adolescenziale, presuppone l’opposizione agli adulti di riferimento e l’imitazione dei pari. Il vulnus di identità dell’individuo in crescita, che nell’infanzia e nel periodo di latenza era colmato dal legame simbiotico e post-simbiotico con gli adulti di riferimento, viene ora sostituito da riferimenti maggiormente simmetrici, che colmano le loro carenze identitarie attraverso identità di gruppo ancora poco differenziate. Così, i pari assumono un’importanza cruciale nel processo di crescita e formazione di ogni adolescente. Questi aspetti di identità diffusa e collettiva hanno la potenza di influenzare e plasmare l’adolescente nei comportamenti, nelle attitudini e opinioni, anche correlate alla salute. I gruppi offrono accettazione, rifugio, scudo e approvazione alla nuova identità che si sta creando. Il gruppo dei pari è un luogo aperto, in cui risulta più facile esprimersi e in cui si è più liberi di sperimentare nuovi modi di relazionarsi e infrangere regole [4]. All’interno di questo mondo diverso rispetto alla famiglia si possiede una maggiore libertà di provare e sperimentare e anche di infrangere le regole, di ricercare il rischio e di attuare condotte cosiddette devianti. Molto spesso il fumo viene vissuto non solo come comportamento di opposizione identitaria dagli adulti di riferimento ma anche come comportamento imitativo di acquisizione identitaria gruppale.
Le pressioni del marketing
Un importante fattore esogeno di induzione al fumo nei giovani, che come abbiamo visto necessitano di modelli di riferimento che non siano quelli che hanno caratterizzato l’infanzia, è rappresentato dal marketing aggressivo e accattivante proposto dalle multinazionali del tabacco. Fumare è per molti aspetti un bisogno creato ad arte mediante l’immagine e l’attribuzione di significati. Quando non si avevano ancora prove scientifiche sui gravi danni causati dal tabacco, i produttori utilizzavano in modo massivo i messaggi pubblicitari per diffondere l’abitudine (e la dipendenza) al fumo.
I canali mediatici scelti per pubblicità connesse, anche indirettamente, al fumo sono prevalentemente quelli della rete e dei social network, utilizzati in modo massivo dai giovani. Questa oculata scelta dei canali comunicativi è stata avviata già negli anni cinquanta dello scorso secolo, allora le multinazionali del tabacco si rivolsero al media cinematografico per promuovere il fumo, specie alle classi giovanili [5,6].
Ancora oggi, le rappresentazioni pro-tabacco in film, televisione e video raddoppiano le probabilità che i minorenni diventino consumatori di tabacco. Inoltre, il marketing pro-tabacco e le rappresentazioni dei media portano i minori che già fumano a fumare di più, aumentando le probabilità di progressione verso un uso più intenso del 42% [5].
È consolidato che i giovani e i giovanissimi sono particolarmente sensibili alla pubblicità delle sigarette, il che fa aumentare in loro il desiderio di provare [6]. I teenager sono tre volte più sensibili rispetto agli adulti alla pubblicità delle sigarette [7], secondo il National Survey on Drug Use and Health, l’81,3% dei giovani fumatori [12-17] preferisce sigarette dei marchi più pubblicizzati, mentre solo il 62% dei fumatori di età superiore ai 26 anni preferisce questi marchi [8].
Infine, uno studio del 2010 sul Journal of Preventive Medicine ha confermato l’impatto dose-risposta tra l’esposizione alla pubblicità di sigarette e il maggiore rischio di divenire fumatori tra i giovani [9].
Fattori endogeni
Finestra di vulnerabilità e novelty seeking
La finestra di vulnerabilità è quello spazio temporale che intercorre tra il pieno sviluppo ontogenetico delle aree sottocorticali del nostro cervello, sede delle pulsioni e delle emozioni, e quello delle aree corticali frontali, principale sede delle funzioni inibitorie. Ultimata la pubertà l’individuo è pulsionalmente maturo ma, le imponenti spinte istintuali generate dalle aree sottocorticali non trovano una adeguata modulazione inibitoria perché, le aree frontali deputate a questa funzione, ultimano la loro maturazione dopo i trent’anni di età [10].
Abbiamo così uno squilibrio neurofisiologico tra un’area che spinge all’azione e una che, ancora immatura, non riesce a modulare questa spinta. Nella fase preadolescenziale questa finestra è molto ampia e si riduce gradualmente, con il crescere dell’età. Concretamente, con la maturazione, l’azione viene progressivamente temperata sempre più dal pensiero [11].
Alcuni individui possono rimanere permanentemente in un assetto sbilanciato in cui il pensiero non riesce ad arginare l’azione sia a causa di deficit strutturali (si veda il noto caso di Phineas Cage [12]) sia per deficit funzionali (si vedano i disturbi di personalità del cluster B del DSM-5 [13]).
Individui con questi deficit, o individui entro la finestra di vulnerabilità, tendono a essere dei sensation seeking cioè persone che cercano attività, sensazioni ed esperienze nuove e fortemente stimolanti. La ricerca di emozioni forti è aggravata, nei sensation seeker, dalla propensione alla impulsività che sovente si traduce in comportamenti rischiosi che possono riguardare l’utilizzo di sostanze psicoattive, siano esse legali che illegali [14].
Ne consegue una maggiore vulnerabilità nei confronti del consumo di sostanze e di comportamenti potenzialmente additivi con scarsa propensione all’evitamento dei rischi e basse capacità di coping.
Abbiamo quindi una disposizione interna che è l’humus ideale su cui possono embricare le sostanze psicoattive, specie quelle facilmente accessibili come le sigarette. Dalla sperimentazione alla dipendenza il passo può essere breve, infatti, è risaputa l’alta capacità di uncinamento della nicotina sul nostro cervello [14]. Le sigarette forniscono alti livelli di nicotina in tempi molto rapidi ai recettori cerebrali. La correzione psicostimolante data dalla nicotina è rapidamente fruibile, pronta a correggere gli innumerevoli stress quotidiani che vengono spesso drammatizzati dal mondo interno, fisiologicamente instabile, dell’adolescente.
La relazione complessa tra l’adolescente e la sigaretta viene così a saldarsi anche neurofisiologicamente, l’omeostasi corporea viene mantenuta grazie ad adeguati livelli di nicotina nel sangue e, qualora voglia diminuire o cessare l’utilizzo di sigarette, una articolata sintomatologia astinenziale che spinge al riutilizzo della sigaretta. L’iniziale scelta di fumare si trasforma in una impellente necessità di evitare il disagio astinenziale.
Vulnerabilità psichica
Un’ulteriore criticità legata alla fine dell’età adolescenziale e l’inizio di quella adulta è data dal fatto che questo periodo della vita è quello in cui può strutturarsi un disturbo psichico maggiore o un disturbo di personalità. Spesso queste articolate e complesse sofferenze non si evidenziano inizialmente proprio a causa dallo stato di tensione e conflitto intrapsichico che l’individuo manifesta durante l’adolescenza.
La propensione a fumare talvolta può configurarsi come una forma di automedicazione o come antidoto alle ansie o alle angosce [15]. È risaputo che la nicotina attiva il sistema dopaminergico della ricompensa con una duplice azione ansiolitico-psicostimolante.
In giovane età una delle cause di avvio al fumo potrebbe essere data anche da stati di vulnerabilità psichica che trovano un primo, improprio, sollievo nell’uso del fumo. Per esempio, dati di letteratura scientifica indicano una forte correlazione tra tabagismo e disturbo bipolare giovanile [16].
Quando l’avvio al fumo è dato da queste ragioni, osserviamo un rapido radicamento della dipendenza che assume connotati di compulsività. In questi casi la sigaretta diviene un ausilio alla gestione di sentimenti ed emozioni spiacevoli e la dipendenza viene aggravata dagli automatismi legati alla reiterata gestualità. Infatti, per ogni sigaretta fumata si eseguono circa venti gesti specifici e consequenziali che si strutturano in un copione gestuale ben definito: prendere il pacchetto, aprirlo, mettersi alla bocca la sigaretta, riporre il pacchetto, accendere la sigaretta, aspirare in forma cadenzata per ultimare lo schema gestuale con lo schiacciamento del mozzicone. Non esiste alcuna altra dipendenza in cui la sequenza gestuale venga ripetuta per decine di volte al giorno. Se un fumatore usa il tabacco per gestire sentimenti ed emozioni spiacevoli ciò rappresenta ancor più un problema quando si prova a smettere. La nicotina influenza il comportamento, l’umore e le emozioni di un fumatore. Tutto ciò avvalora il concetto di “personalità dipendente”, e di conseguenza risulta facile capire come lo “smettere di fumare” sia vissuto come una menomazione. Dire a un fumatore “smetti di fumare” tout court sarebbe come invitarlo a mutilarsi. Per tale ragione va posta molta attenzione al riconoscimento della sua patologia e della notevole difficoltà a liberarsi dalla sua dipendenza.
Conclusioni
Come detto nella introduzione di questo scritto, la maggioranza dei tabagisti ha iniziato a fumare in età adolescenziale, in un percorso che comincia con la sperimentazione e prosegue con l’abitudine, fino alla dipendenza vera e propria, come perdita di controllo sull’abitudine [17].
Come visto, l’iniziazione al fumo di una persona è influenzata da fattori ambientali e interiori a dimostrazione che ogni individuo è indissolubilmente legato all’ambiente sociale in cui si colloca.
Il comune denominatore dei quattro fattori che abbiamo illustrato (le relazioni familiari e con il gruppo dei pari; il marketing esercitato dalle multinazionali del tabacco, esplicitamente e implicitamente, attraverso i media; la disposizione alla sperimentazione adolescenziale e i conflitti interni) sembra essere la definizione dell’identità individuale. Infatti, se guardiamo i fattori esogeni, l’imitazione delle figure parentali indica la spinta dell’individuo a costituire un primo nucleo identitario a partire dalla similitudine con altre identità con cui c’è un forte legame affettivo; l’emulazione indifferenziata con il gruppo dei pari indica una seconda fase identitaria che contiene, nel contempo, aspetti di separazione e individuazione dalle figure primarie e affiliazione a una identità collettiva, condivisa e generazionale, che rappresenta un prodromo, un interregno, verso la piena acquisizione di una identità adulta e indipendente.
Anche il marketing propone all’individuo modelli emulativi imponenti: adultità, successo, ambienti, situazioni e relazioni fortemente accattivanti e desiderabili possono ben incunearsi in fragilità e insicurezze eroiche fornendo l’illusione che il fumo possa lenirle o sanarle magicamente.
Se consideriamo i fattori endogeni, la disposizione novelty seeking dell’adolescente, causata da una differenziazione temporale di strutture cerebrali con funzionalità opposte, evidenzia la carenza di capacità di pensiero nel pesare le conseguenze delle azioni, specie di quelle a lungo termine. Anche qui, pur se entro curve di crescita fisiologiche, il vulnus di identità è chiaro: l’agito esperienziale diviene importante di per sé, aldilà delle conseguenze che comporta. È difficile che pazienti in cura dal tabagismo non ricordino il loro avvio al fumo avvenuto in età adolescenziale definendolo, superficialmente, come un atto di stupidità. In realtà è quel momento evolutivo in toto a essere caratterizzato da scelte che non sono interamente pensate.
Ancor più chiare sono le difficoltà identitarie causate da problemi strutturali, siano essi dovuti a malattie psichiche o a disturbi di personalità. Gli stati morbosi che ci affliggono, siano essi organici, siano essi psichici, aggrediscono la nostra identità facendola regredire a bisogni psichici infantili di tipo primario.
In tutte queste situazioni un Io fragile e poco costituito può trovare nel fumo una stampella emotiva robusta, che può essere vista, a seconda del fronte su cui gioca lo sviluppo di identità l’individuo, o come uno strumento di adultizzazione e integrazione sociale oppure come uno strumento che lenisce stati interiori di fragilità che trovano, anche nelle capacità di risposta dopaminergica della nicotina, uno strumento che tempera il disagio interiore.
Puntare su un supporto psicologico che abbia come obiettivo lo sviluppo identitario del tabagista, che sia neofita o cronico, potrebbe essere una buona strategia di prevenzione e cura di una dipendenza che mantiene un Io immaturo, incapace del confronto con le sue fragilità. Proprio queste vulnerabilità vengono sistematicamente evitate dal tabagista ricorrendo all’effetto anestetizzante multifattoriale delle sigarette.
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